In occasione del cinquantatreesimo suicidio avvenuto, da gennaio, tra le mura delle carceri italiane Il Riformista pubblica un articolo di Tiziana Maiolo che ricorda una frase che, Gabriele Cagliari, presidente dell’ENI, pronunciò prima di suicidarsi in carcere. Questa frase voleva rappresentare la inumana situazione carceraria italiana e soprattutto il totale disinteresse di tutto il circo mediatico e della politica nei confronti di questo abominevole crimine perpetrato da decenni dallo Stato italiano in violazione a tutti i trattati internazionali e per la quale è stato più volte sanzionato. Cagliari descrisse la condizione dei detenuti in questo modo: “Siamo cani nel canile”. Ebbene io credo che questa frase fosse sbagliata. I detenuti italiani sono in una condizione peggiore dei cani nel canile perché, mentre giustamente il sentimento comune nei confronti degli animali abbandonati é di piena solidarietà essendo visti come creature innocenti ingiustamente rinchiuse, gli esseri umani, che marciscono nelle patrie galere in condizioni praticamente medievali, non sono oggetto di nessun sentimento di empatia da parte della maggior parte delle persone. Continua infatti a prevalere nella stragrande maggioranza degli italiani l’idea che il carcere abbia un prevalente scopo afflittivo, cioè debba far soffrire il reo alfine di vendicare la società dal crimine subito e indurre un effetto deterrente sui malintenzionati. Solo una minoranza è convinta di quanto dice la nostra costituzione che, figlia di una straordinaria corrente di pensiero della quale il nostro paese può menare vanto al confronto anche di civiltà molto avanzate e che inizia nel 700 con Cesare Beccaria, afferma che lo scopo della pena è quello di riabilitare il detenuto perché possa essere reinserito nella società. I vantaggi di questa visione sono molteplici e ampiamente dimostrati da molti decenni attraverso esperienze comuni a tutto il mondo più avanzato dove un carcere improntato ad uno scopo rieducativo riduce molto di più le recidive e permette di reinserire il cittadino nel tessuto sociale dove può vivere, lavorare e produrre una ricchezza per la società in grado di ripagare la parte materiale del danno causato dal suo reato. Ciononostante a causa del prevalere del desiderio vendicativo su quello riabilitativo nell’elettorato italiano, una parte dei partiti si astiene in modo assoluto dal pronunciarsi su una riforma penitenziaria assolutamente indispensabile per riportare il nostro paese nel novero di quelli civili ma che non incontra minimamente il sentire comune. Alcuni partiti addirittura cavalcano biecamente e cinicamente questa arretratezza degli Italiani facendone un triste e squallido cavallo di battaglia. La Lega in primis, e poi Fratelli d’Italia e i Cinque stelle sempre dalla parte della vendetta e di una visione delle carceri degna dell’antichità. La responsabilità del deficit culturale degli Italiani é equamente condivisa da una scuola ancora profondamente improntata dalla riforma Gentile del periodo fascista, dai mezzi di comunicazione che, sempre all’inseguimento della odience evitano come la peste di affrontare argomenti controversi ma anche e soprattutto da gran parte della politica italiana che ancora una volta dimostra il suo cinismo e il suo squallore primariamente umano prima che politico. Al momento oltre ai Verdi – Sinistra italiana e naturalmente +Europa che ne fa un argomento fondante, i partiti dello schieramento di centro sinistra hanno in vario modo affrontato l’argomento nei loro programmi elettorali. La destra invece continua a pensare di risolvere il problema semplicemente mediante una nuova edilizia carceraria che non è stata fatta negli ultimi 40 anni e non lo sarà nemmeno nei prossimi.
Tra le mille arretratezze culturali che caratterizzano la destra italiana questa è una delle più evidenti, anche perché sopravvive indenne ad oltre un secolo di progresso culturale ed a una innumerevole serie di evidenze talmente inoppugnabili da non meritare neanche un minuto di discussione. Basta infatti osservare com’è l’incidenza della criminalità e soprattutto delle recidive nei paesi più avanzati in questo campo e compararlo con la loro gestione del regime carcerario per fugare qualsiasi dubbio sull’ efficacia di una visione più moderna, più civile e soprattutto più umana di gestire le carceri che prevede la carcerazione come extrema ratio a fronte di un ampio ricorso a pene alternative al carcere ed a percorsi di rieducazione, riabilitazione e reinserimento nella società praticamente assenti in Italia.